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1) Accordi regionali di stabilizzazione del precariato Decreto Madia in Emilia Romagna e Sardegna
2) Analisi della CIMO sugli effetti delle misure adottate per ridurre i costi della Sanità
3) Campania. Borse di studio per non medici. Stanziati 2 milioni di euro
4) Adolescenti e gioco d’azzardo
5) Obesità infantile e ruolo della madre

ACCORDI REGIONALI STABILIZZAZIONE DEL PRECARIATO DECRETO MADIA IN EMILIA ROMAGNA E SARDEGNA

Nel mese di giugno sono stati siglati con le OO.SS. importanti accordi regionali relativi alla stabilizzazione del precario secondo il decreto Madia. Per la Sardegna é anche indicato il numero di Psicologi da stabilizzare per il 2018, 9 colleghi con il comma 1 e 1 con il comma 2. E’ la conferma che il Decreto Madia non escludeva gli Psicologi come molti erroneamente avevano compreso.
Alleghiamo gli accordi dell’Emilia Romagna e della Sardegna

Avviso
Piano assunzioni Delibera DGATIS
Protocollo stabilizzazione personale

CIMO: “In 6 anni ogni medico ha perso in media 260 euro al mese. Ora un contratto dignitoso”

Analisi condotta dal sindacato sugli effetti delle misure adottate per ridurre i costi della sanità tra il 2010 e il 2016. “Le Regioni hanno ricevuto 5,4 mld in più ma hanno tagliato la spesa per il personale di 2,6 mld”. E poi l’appello sul contratto.
Un’analisi condotta da CIMO sugli effetti delle misure adottate per ridurre i costi della sanità tra il 2010 e il 2016 su dati estrapolati dal Conto Annuale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, permette di evidenziare che i risparmi delle Regioni sul personale sanitario sono stati di oltre 2,6 miliardi, cifra alla quale ogni medico ha contribuito con una perdita media di 260 euro al mese nella propria busta paga.

“Il calo dei dipendenti, il blocco del turnover, la riduzione degli incarichi nelle strutture e i relativi tagli, uniti alla mancanza del rinnovo contrattuale – rileva la Cimo – , hanno rappresentato una vera e propria fonte di risorse aggiuntive per le Regioni che, in questi anni di crisi economica, hanno visto incrementare la ripartizione del FSN da 105,6 mld (2010) a 111 mld (2016) e contestualmente risparmiare i suddetti 2,673 miliardi per effetto della riduzione di 40.184 dipendenti del SSN e delle riorganizzazioni delle strutture sanitarie. In particolare, il numero di medici si è ridotto di 6.724 unità, con risparmi di oltre 845 milioni di euro e, nell’ambito della riorganizzazione delle aziende, il numero di unità complesse è calato del 24,98% ed il numero di strutture semplici del 27,34%. Tutto ciò ha avuto un impatto sui salari, con una riduzione media pro capite per medico del trattamento accessorio da 25.806 euro (2010) a 22.404 euro (2016) con perdita media mensile di 261,69 euro in tutto il periodo analizzato”.

“In altre parole – commenta Guido Quici, Presidente Nazionale CIMO – i risparmi derivanti dal costo del personale sono stati funzionalmente destinati a tamponare altre esigenze di spesa corrente come, ad esempio, i beni e i servizi, ma ben presto queste risorse sono state considerate come strutturali per compensare altri capitoli di bilancio delle Regioni e delle aziende sanitarie: questo è il motivo per il quale la partita del rinnovo del contratto dei medici stenta a decollare”.

“Siamo coscienti che le risorse economiche sono quelle che il Fondo sanitario nazionale consente di mettere a disposizione per questo contratto, risorse che sono state certificate dal Ministero dell’Economia, ma in questi anni abbiamo assistito a uno spostamento delle percentuali di ripartizione tra i vari capitoli di spese che hanno penalizzato principalmente le voci che riguardano il costo del personale, cambiamento che doveva essere transitorio e che ora sta alle amministrazioni riequilibrare. Dunque, discutiamo prima di risorse esigibili e, successivamente, apriamo un tavolo politico senza ulteriori indugi. È del tutto ovvio che CIMO non può chiedere ancora ai medici di continuare a sacrificarsi oltre l’emergenza; piuttosto, non vuole trovarsi costretta a spiegare loro che, dopo nove anni, rischiano di non aver riconosciuto lo stesso adeguamento percentuale degli altri comparti, non ultimo quello della dirigenza delle Funzioni Centrali dello Stato”, conclude Quici.

CIMO ribadisce che il contratto di cui si sta discutendo “dovrà essere dignitoso non solo sul versante economico rispettando il 3,48% di adeguamento richiesto ma soprattutto su quello normativo, a partire dai capitoli che riguardano la responsabilità professionale e le assicurazioni, anche in considerazioni di quanto sta accadendo in alcune aziende a seguito della applicazione della Legge Gelli, ritenuta da alcuni peggiorativa rispetto alla Legge Balduzzi”.

CAMPANIA. BORSE DI STUDIO PER NON MEDICI. STANZIATI 2 MILIONI DI EURO

Campania prima regione in Italia. È stata approvato la delibera, su proposta del Presidente De Luca e dell’Assessore alla Formazione Marciani, volta a finanziare borse di studio per tutti gli iscritti alle specializzazioni in professioni sanitarie non mediche quali i laureati in veterinaria, odontoiatria, farmacia, biologia, chimica, fisica e psicologia
La Regione Campania, su proposta del Presidente Vincenzo De Luca e dell’Assessore alla Formazione Chiara Marciani, ha approvato la delibera volta a finanziare borse di studio per tutti gli iscritti alle specializzazioni in professioni sanitarie non mediche con una dotazione finanziaria di 2 milioni di euro. “Si tratta – spiega l’Assessore Marciani – di venire incontro ai tanti ragazzi e ragazze laureati in veterinaria, odontoiatria, farmacia, biologia, chimica, fisica e psicologia che, per poter lavorare nel sistema sanitario nazionale, hanno l’obbligo di possedere un titolo di specializzazione di vari anni, ma finora senza una borsa di studio o un rimborso spese”. Eppure, laureati medici e non medici frequentano spesso le stesse scuole di specializzazione, seguono lo stesso percorso formativo a tempo pieno e lavorano fianco a fianco nelle strutture del servizio sanitario nazionale. “Per la prima volta – sottolinea il Presidente De Luca – la Regione Campania consentirà agli iscritti ai corsi di specializzazione in professioni sanitarie non mediche di poter usufruire di una borsa di studio al fine di completare il loro percorso formativo con un tassello fondamentale per il loro inserimento lavorativo, evitando inoltre il rischio che la specializzazione diventi un lusso per chi ha alle spalle una famiglia su cui poter gravare”.
Viva soddisfazione per questo provvedimento è stata espressa anche dal Presidente della Scuola di Medicina dell’Università Federico Luigi Califano che, insieme all’Università Vanvitelli e l’Università di Salerno erogano queste specializzazioni: “L’impegno del Presidente De Luca e dell’Assessore Marciani ha reso possibile questo straordinario risultato che vede la Campania prima Regione in Italia a rendere disponibili borse di studio per non medici”.

GIOVANI MALATI DI SCOMMESSE, UNA GUIDA CONTRO LA DIPENDENZA

Il fenomeno riguarda oltre il 30% degli adolescenti
I giovanissimi sono “malati di scommesse”? A guardare i dati che emergono dalle ricerche del Cnr sembrerebbe proprio di si’: in Italia il 33,6% degli under18 gioca con i gratta e vinci e frequenta le agenzie di scommesse. E spesso genitori e insegnanti non sono in grado di riconoscere i segnali che indicano una possibile dipendenza. “Uscire dalla dipendenza da gioco d’azzardo e’ possibile, ma il risultato e’ strettamente connesso alla motivazione che spinge il ragazzo ad aderire al progetto di cura. Per questo motivo, spesso i percorsi terapeutici sono lunghi e complessi”, dicono gli esperti dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesu’ che hanno presentato a Roma una guida contro la dipendenza da gioco d’azzardo: al suo interno si trovano suggerimenti su come riconoscere e gestire il problema e sono indicati i percorsi terapeutici da seguire in caso di dipendenza. Attivato anche un indirizzo e-mail dedicato (iogioco@opbg.net) a cui e’ possibile chiedere aiuto agli specialistici di Neuropsichiatria infantile del Bambino Gesu’. I consigli per genitori e insegnanti. Interesse continuo per il gioco d’azzardo, ridotte capacita’ di controllo sul tempo dedicato a questa occupazione, disinteresse per lo studio e le altre attivita’ ricreative, calo della resa scolastica, frequenti assenze ingiustificate, ansia, irritabilita’, atteggiamenti aggressivi non motivati, disturbi del sonno e l’insorgere di comportamenti inusuali come mentire o rubare in casa. Sono i segnali a cui genitori e insegnanti devono prestare attenzione per riconoscere una possibile dipendenza nei figli minori o negli studenti. “Per affrontare il problema, genitori e insegnanti dovranno informare e sensibilizzare i ragazzi rispetto al fenomeno, aiutandoli a comprendere i pericoli della dipendenza, ma senza utilizzare toni proibizionistici e giudicanti- spiegano gli esperti-. Sara’ quindi necessario tenere sotto controllo il comportamento dei giovani piu’ a rischio e avviare interventi terapeutici specifici come i percorsi di psicoterapia individuale nelle situazioni potenzialmente critiche”. La cura. Incontri di psicoterapia individuali, familiari e di gruppo e un indirizzo e-mail a cui chiedere aiuto. E’ il percorso terapeutico indicato dagli esperti del Bambino Gesu’. “L’obiettivo primario e’ creare un’alleanza con i giovani pazienti per rinforzare la motivazione e l’adesione al trattamento e per renderli consapevoli del problema – spiegano – Per proteggerli dal contatto con l’esperienza del gioco patologico, il terapeuta potra’ dare alcune indicazioni di comportamento come, ad esempio, evitare i luoghi, le sale scommesse, o le situazioni a rischio, frequentare amici dediti al gioco e imitarne l’atteggiamento”. Nel percorso possono anche essere prescritti farmaci che agiscono sulla compulsione come antidepressivi di nuova generazione o che stabilizzano il tono dell’umore. I casi piu’ gravi verranno indirizzati ai Serd, i servizi sociosanitari assistenziali dedicati al trattamento delle dipendenze.

L’ESEMPIO DELLA MADRE E’ FONDAMENTALE PER PROTEGGERE I FIGLI DALL’OBESITA’

Uno studio della Harvard T.H. Chan School of Public Health su oltre 24 mila ragazzi e quasi 17 mila donne rivela che un baluardo fondamentale contro l’obesità infantile e dell’adolescenza è l’esempio della madre. Il role model insomma è molto più efficace delle ‘prediche’nello scongiurare l’obesità nei ragazzi. Un insegnamento per genitori e per gli operatori sanitari, che dovrebbero sempre coinvolge le madri nelle strategie di prevenzione e trattamento dei figli.
La ricetta del vivere in salute è la stessa di sempre: mangiare bere, fare tanta attività fisica, non fumare, consumare alcol in maniera moderata, mantenere il peso forma. La novità è che queste cinque buone abitudini riducono di oltre il 75% il rischio di obesità nei figli se sono le madri stesse a perseguirle con attenzione e costanza. A rivelarlo è uno studio condotto dalla Harvard T.H. Chan School of Public Health, pubblicato su BMJ, che di fatto ribadisce l’importanza del ‘role modeling’ del dare il buon esempio, senza limitarsi a predicarlo soltanto. La ricerca dimostra infatti che quando sia la madre che il figlio si attengono a queste cinque regole d’oro, il rischio di obesità si riduce dell’82% rispetto alle coppie madre-figlio che non le seguono. Un ragazzo dai 6 ai 19 anni su 5 negli USA è affetto da obesità, condizione che aumenta il rischio di diabete di tipo 2, cardiopatia ischemica ed altre condizioni metaboliche. E’ noto che la genetica ha il suo peso nel determinismo dell’obesità ma l’esplosione epidemiologica di questa condizione, registrata negli ultimi anni, è più verosimilmente legata ad alterazioni dello stile di vita e della dieta. L’influenza dell’ambiente insomma è molto più importante della genetica.
I ricercatori di Harvard sono andati a studiare l’associazione tra lo stile di vita della madre e il rischio di obesità tra bambini e adolescenti di età compresa tra i 9 e i 18 anni; il campione preso in esame è quello dei 24.289 ragazzi arruolati nel Growing Up Today Study, tutti nati da 16.945 donne che avevano partecipato al Nurses’ Health Study II. La ricerca ha evidenziato che 1.282 di questi ragazzi (il 5,3% del campione) aveva sviluppato una condizione di obesità nell’arco di un periodo di follow-up di 5 anni e che obesità materna, abitudine tabagica della madre e scarsa attività fisica risultavano tutti fortemente associati alla comparsa di obesità nei figli. Il rischio più basso di obesità nei figli al contrario è stato osservato quando sia le madri che i figli seguivano le regole del vivere sano. In particolare, i figli di donne che mantenevano il peso forma (BMI 18,5-24,9) avevano un rischio di sviluppare obesità del 56% inferiore rispetto ai figli di madri non ‘in forma’; mentre i figli di madri non fumatrici, avevano un rischio di obesità del 31% inferiore, rispetto ai figli di madri fumatrici. Il rischio-obesità è apparso più contenuto anche nei figli, le cui madri consumavano bevande alcoliche con moderazione, rispetto ai figli di donne completamente astemie. Non vi sono invece dati relativi alla prole delle forti bevitrici in quanto nel Nurses’ Health Study II questa categoria non era presente. La vera sorpresa dello studio viene invece dal fatto che le abitudini alimentari della madri non influenzavano in maniera particolare il rischio obesità nei figli; forse perché la dieta dei ragazzi è influenzata da mille altre variabili, dalla mensa scolastica, alle opzioni di ristoro nel quartiere, alle uscite con gli amici. Il vero take home message di questo studio resta comunque quello del ruolo fondamentale dell’esempio dato dalle madri nell’abbracciare o meno uno stile di vita sano. A contare sono i fatti, molto più delle parole insomma. E la lezione per gli operatori sanitari è che l’obesità dei ragazzi si combatte solo attraverso interventi che coinvolgano tutta la famiglia e strategie di prevenzione mirate ai genitori.

Cordiali saluti

La Segreteria Nazionale